Monterotondo – La banca applica un tasso usuraio. Famiglia rischia di perdere casa

Per un debito di 28 milioni di vecchie lire e una cambiale da quattro, oggi dovrebbe restituire alla banca più di un milione di euro. L’istituto, negli anni, ha applicato tassi d’interesse che hanno superato il 24 % trimestrale, il 300 % all’anno, più del 6790 % complessivo in 22 anni, cresciuto esponenzialmente dal 1984 al 2006 a sua insaputa e che rischia di portargli via la casa costruita dal padre con tanti sacrifici.
Tassi usurai – quelli applicati dalla banca e avallati dai giudici civili del Tribunale di Roma – come certificato nel 2011 da una perizia del Ctu chiesta dalla Procura della Repubblica Capitolina in uno dei filoni d’indagine scaturiti dalla vicenda.
Tassi bancari che superano di gran lunga la soglia fissata dalla legge antiusura del 1996 numero 108. Eppure sembra non esserci una via d’uscita.
Quella di Audisio Fabiani – 58 anni, imprenditore e costruttore, figlio dello storico dipendente comunale Guido Fabiani – è una battaglia improba contro quelli che lui stesso definisce usurai in giacca e cravatta, per i quali non esistono manette che tengano.
Ma è anche una battaglia contro un sistema giudiziario che appare cieco, impermeabile a qualsiasi richiesta di aiuto.
Difeso dallo studio dell’avvocato Egidio Lanari di Roma, nella sua lotta quasi decennale per salvare il patrimonio di famiglia dalla grigia ruota della burocrazia bancaria, Fabiani ha chiesto la ricusazione di tre giudici, sollevato due reclami al Collegio, si è opposto a otto esecuzioni immobiliari, ha sporto due denunce che hanno dato avvio ad un’inchiesta per usura finita archiviata, ha quasi fatto finire sotto processo tre dirigenti di una multinazionale e ha denunciato strane sparizioni dei fascicoli di indagini da parte della Procura della Repubblica di Roma.
Oggi, però, tutti i suoi sforzi e i soldi spesi per difendersi non hanno ancora portato a niente.
Le inchieste penali per estorsione si sono arenate e per questo, a gennaio 2014, il suo avvocato ha chiesto che tutto passi direttamente nelle mani del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma perché i pm di piazzale Clodio non avrebbero indagato.
Sul fronte civile la famiglia continua a vivere con l’incubo della casa in via Liri pignorata e all’asta.
Ne ha scampate cinque, di vendite forzate. L’unico barlume di speranza è che il nuovo giudice civile assegnato alla sua vicenda ha disposto la nomina di un nuovo consulente.
La nomina per la Ctu risale al 3 febbraio, mentre a dicembre di quest’anno si terrà a Roma l’udienza nella quale il giudice porrà i suoi quesiti al tecnico sul ricalcolo degli interessi definiti dalla famiglia usurai.

 

Audisio Fabiani, figlio di Guido, ex dipendente comunale

 

Vogliono portarci via anni di sangue e sudore.

Combatto per mio padre Guido”

 

Per un debito di 28 milioni di vecchie lire e una cambiale da quattro, oggi dovrebbe restituire alla banca più di un milione di euro. L’istituto, negli anni, ha applicato tassi d’interesse che hanno superato il 24 % trimestrale, il 300 % all’anno, più del 6790 % complessivo in 22 anni, cresciuto esponenzialmente dal 1984 al 2006 a sua insaputa e che rischia di portargli via la casa costruita dal padre con tanti sacrifici.
Tassi usurai – quelli applicati dalla banca e avallati dai giudici civili del Tribunale di Roma – come certificato nel 2011 da una perizia del Ctu chiesta dalla Procura della Repubblica Capitolina in uno dei filoni d’indagine scaturiti dalla vicenda.
Tassi bancari che superano di gran lunga la soglia fissata dalla legge antiusura del 1996 numero 108. Eppure sembra non esserci una via d’uscita.
Quella di Audisio Fabiani – 58 anni, imprenditore e costruttore, figlio dello storico dipendente comunale Guido Fabiani – è una battaglia improba contro quelli che lui stesso definisce usurai in giacca e cravatta, per i quali non esistono manette che tengano.
Ma è anche una battaglia contro un sistema giudiziario che appare cieco, impermeabile a qualsiasi richiesta di aiuto.
Difeso dallo studio dell’avvocato Egidio Lanari di Roma, nella sua lotta quasi decennale per salvare il patrimonio di famiglia dalla grigia ruota della burocrazia bancaria, Fabiani ha chiesto la ricusazione di tre giudici, sollevato due reclami al Collegio, si è opposto a otto esecuzioni immobiliari, ha sporto due denunce che hanno dato avvio ad un’inchiesta per usura finita archiviata, ha quasi fatto finire sotto processo tre dirigenti di una multinazionale e ha denunciato strane sparizioni dei fascicoli di indagini da parte della Procura della Repubblica di Roma.
Oggi, però, tutti i suoi sforzi e i soldi spesi per difendersi non hanno ancora portato a niente.
Le inchieste penali per estorsione si sono arenate e per questo, a gennaio 2014, il suo avvocato ha chiesto che tutto passi direttamente nelle mani del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma perché i pm di piazzale Clodio non avrebbero indagato.
Sul fronte civile la famiglia continua a vivere con l’incubo della casa in via Liri pignorata e all’asta.
Ne ha scampate cinque, di vendite forzate. L’unico barlume di speranza è che il nuovo giudice civile assegnato alla sua vicenda ha disposto la nomina di un nuovo consulente.
La nomina per la Ctu risale al 3 febbraio, mentre a dicembre di quest’anno si terrà a Roma l’udienza nella quale il giudice porrà i suoi quesiti al tecnico sul ricalcolo degli interessi definiti dalla famiglia usurai.

 

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Tutte le tappe della vicenda iniziata nel 1979 con l’apertura di un conto corrente

 

LA STORIA
La domanda è: come è stato possibile? Quella di Fabiani è, a dirla tutta, una vicenda che potrebbe capitare a chiunque. Nel 1979, era appunto aprile, Fabiani aveva chiesto ad una banca di aprire una linea di credito. All’epoca era un giovane di 23anni con il diploma da geometra in tasca e la voglia di lavorare nell’edilizia che, negli anni ’80, girava bene. A firmare la garanzia fideiussoria erano stati suo padre Guido e sua madre, mettendo a copertura gli immobili. La famiglia, di quei tassi, non ne sapeva niente tanto che nella “massiccia” consulenza tecnica del Pm del 2011, l’esperto scrive che “all’apertura del conto non si rilevano condizioni determinate dai tassi d’interesse praticati o di applicazioni di date valuta o commissioni di massimo scoperto”. Per la difesa la famiglia non sapeva perché gli interessi dichiarati erano quelli su “piazza”. Il consulente aveva scritto che le condizioni del conto potevano cambiare “unilateralmente a semplice pubblicazione interna ai propri locali”. Insomma potevano cambiare semplicemente con uno di quegli avvisi che quasi nessuno legge quando si trova in banca, ma che riguardano la variazione delle condizioni contrattuali. Nella Ctu si legge che l’unica traccia trovata dal consulente del pm risale a 14 anni dopo. Nel 1993, infatti, il cda della banca aveva stabilito una variazione dei tassi dal 25 % al 24,5% a partire dal 1983. La difesa ha sempre negato che quelle cifre potessero essere riconducibili e applicabili al contratto sottoscritto dai Fabiani nel 1979 dato che non erano mai stati dichiarati.


IL DEBITO DA 28 MILIONI DI LIRE
Il debito con la banca si era formato quando, tra gli alti e bassi del lavoro, Fabiani aveva deciso di chiudere il conto presso la banca. Nel 1983 l’istituto di credito aveva chiesto alla famiglia di rientrare subito dei soldi dovuti ma, in quel momento, non c’erano le disponibilità economiche per farlo. Così, con un decreto ingiuntivo emesso alla banca nel 1984, era stata iscritta l’ipoteca giudiziale sulla casa. L’importo in ballo ammontava a 28 milioni di lire, più 4 di una cambiale. Per quasi dieci anni, però, tutta la macchina sembrava essersi fermata. Solo nel 1993 l’Istituto bancario si era fatto sentire, incardinando la procedura di vendita forzata per il pagamento del dovuto e gli interessi maturati. Erano passati altri dieci anni e si era arrivati al 2003, quando l’Istituto aveva chiesto al tribunale di far comparire le parti per vendere la casa. Tre anni dopo, nel 2006, l’allora avvocato di Fabiani aveva chiesto la cosiddetta conversione del debito. Ovvero: quanto volete per chiudere la vicenda e liberare la casa? Con un foglietto di una pagina, l’avvocato della banca aveva fatto presto i conti: per 28 milioni di lire di capitale ingiunto (12.397 euro) c’erano interessi trimestrali capitalizzati del 24,5 % il che, dal ’84 al 2006, aveva fatto schizzare gli interessi a 839.217 euro. A questi, per la cambiale di 4 milioni di lire (2.234 euro), andavano aggiunti altri interessi calcolati al 26,5 %. Insomma, per poco più di 12mila euro di “buffo”, la banca aveva chiesto 1.032.789 euro. Più di due miliardi. Un guadagno non da poco: quasi 73 volte di più del debito originale. Il giudice aveva firmato, la famiglia era piombata nel baratro.
Da qui la battaglia anche contro i giudici, per i quali la famiglia aveva chiesto la ricusazione, poi rigettate anche se, nel frattempo, il procedimento è passato di mano per quattro giudici diversi. Ma anche il credito era passato di mano, finendo dalla banca originaria (fusa negli anni in altri istituti di credito) nelle mani di una multinazionale che si occupa del recupero crediti anche presso terzi.


LA DENUNCIA
E’ contro di loro che, nel 2010, scatta la denuncia per usura alla Procura della Repubblica di Roma. Il pm aveva identificato tre soggetti, manager con residenze sparse in mezzo mondo. Dopo averli indagati nel giugno 2012 si era quasi arrivati alla richiesta di rinvio a giudizio, ma poi il Gip – ad ottobre dello stesso anno  – aveva detto che non c’erano i presupposti per il reato di estorsione e tutto si era fermato. L’usura si determina, aveva spiegato, solo se i tassi vengono dichiarati all’inizio del rapporto e non dopo. La famiglia non aveva mollato, denunciando ancora per estorsione. A questo punto, secondo Fabiani e i suoi legali, la Procura Capitolina sarebbe rimasta inerte.
A marzo 2013 il pm aveva archiviato ma, nella denuncia di Fabiani, quando lui viene a sapere dell’archiviazione a novembre 2013 nelle carte manca una relazione della Guardia di Finanza nella quale lui stesso era stato ascoltato. Dopo averla ottenuta a seguito di mille proteste, tutto si ferma di nuovo. Per questa presunta mancanza d’indagini, Fabiani ha chiesto che sia il procuratore generale della Corte d’Appello a prendere tutte le carte in mano.

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