La sorpresa è stata grande quando, sotto quattro metri di profondità, ci si è trovati di fronte a un criptoportico, parte di un complesso ipogeo ben più grande. “Il criptoportico, lungo m 15, alto 3, e terminante con un vano rettangolare ove era la scala di accesso, databile al II sec. d.C., si segnala per la pregevole decorazione in stucco dipinto, particolarmente conservata sulle volte a botte che presentano le caratteristiche finestre “a gola di lupo” per far entrare aria e luce, ma non il calore. Gli stucchi si articolano in piccoli lacunari quadrati con ricca cornice a ovuli, racchiudenti una rosetta. Fra i lacunari si interpongono steli foliati e nei punti di congiunzione era un’applique circolare, in bronzo o altro materiale pregiato, di cui restano le impronte. Le pareti, in opera laterizia, erano ricoperte di intonaco dipinto. Gli scavi in corso stanno scoprendo un pavimento a mosaico bianco che aveva anche la funzione di aumentare la luminosità dell’interno” come fa sapere la “Società Tiburtina di Storia e d’Arte”.
Al momento l’Acea secondo le indicazioni della Soprintendenza ha messo in sicurezza il criptoportico che sarà accessibile tramite un pozzetto.
(Foto Società d’Arte Tiburtina, stampa La stampa è di Giovanni Brun, Avanzi della Villa di Valerio Massimo a Tivoli, da “Nuova raccolta di 100 vedute antiche della città di Roma e sue vicinanze / incise, e dedicate da Giovanni Brun, a sua eccellenza r[oman]a Monsr. D. Stanislao Sanseverino, de’ principi di Bisignano …”, Roma, ante 1816)