TIVOLI – Processi penali, avvocati in astensione per 5 giorni contro il blocco della prescrizione

LA PRESCRIZIONE SECONDO IL PRESSAPPOCHISMO GIUSTIZIALISTA

La Camera Penale di Tivoli ha deliberato di aderire all’astensione dalle udienze penali indetta dall’Unione delle Camere Penali dal 21 al 25 Ottobre per censurare la prossima entrata in vigore del nuovo regime della prescrizione, ritenendo estremamente pericolosa la possibilità che, a partire dalla sentenza di primo grado (sia essa di assoluzione che di condanna), il “decorso del tempo” si blocchi, si arresti per sempre.

Questa riforma, condivisibilmente definita dall’allora Ministro della Pubblica Amministrazione (e Collega) On. Giulia Bongiorno “una bomba ad orologeria gettata nel Processo Penale”, doveva essere il punto di arrivo di una fantomatica riforma dell’intero settore penale. Anzi, la modifica della prescrizione sarebbe entrata in vigore solo dopo una “epocale riforma della Giustizia” (cit.) che – quasi miracolosamente – sarebbe riuscita a fissare tempi certi per le indagini preliminari, disciplinandone la durata e prevedendo sanzioni processuali in caso di inadempimenti di Procure e P.G.; avrebbe dovuto limitare gli approdi dibattimentali alle fattispecie effettivamente meritevoli di quel vaglio mediante l’incentivazione di scelte deflattive, rese più appetibili dall’innalzamento dei benefici premiali se esperite in fase investigativa; doveva restituire dignità di funzione all’udienza preliminare, concentrando in quella fase-filtro l’esercizio delle facoltà processuali attualmente esperibili in dibattimento, con la conseguente dilatazione dei tempi di celebrazione dell’istruttoria; si impegnava ad iniziare una ragionata depenalizzazione, così sgravando le Procure della Repubblica da reati di scarso allarme sociale; infine, avrebbe dovuto ampliare le possibilità di accesso ai percorsi premiali (messa alla prova e lavori di pubblica utilità) che hanno riscosso un indubbio e diffuso riscontro positivo.

L’Unione delle Camere Penali Italiane, nel proprio costante tentativo di contribuire al miglioramento del sistema penale, ha indicato le macroaree su cui si sarebbe dovuto concentrare un intervento legislativo seriamente e sinceramente interessato a risolvere le reali cause delle odierne lungaggini, senza che ciò causasse una rinuncia o una riduzione delle garanzie e dell’effettività della difesa dell’accusato.

L’attuale maggioranza di Governo, tuttavia, non mostrando alcuna intenzione di chiarire la propria posizione su quelle auspicate riforme, conferma la propria convinzione che il “semplice” blocco della prescrizione risolverà i “veri problemi” (cit.) del Processo Penale italiano.

Questa bizzarra convinzione, seppur smentita anche dagli ultimi dati forniti dal Ministero di Giustizia, è propria di molti commentatori televisivi, fra cui il Dott. Marco Travaglio che, nella trasmissione “DiMartedì” dell’8 Ottobre 2019, ha sostenuto che “la Giustizia non c’è bisogno di riformarla da cima a fondo. C’è bisogno di fare degli interventi, il primo è quello di astenersi dal rimettere mano alla legge sulla prescrizione”, con ciò lasciando intendere che, tutto sommato, oggi il Processo Penale funziona bene e addirittura migliorerà con il blocco della prescrizione.

A differenza dei commentatori che intasano trasmissioni televisive e talk show senza nessun confronto con chi quotidianamente in aula celebra i processi penali di cui costoro parlano, noi avvocati penalisti sappiamo che il Processo Penale sta vivendo – da almeno un ventennio – una costante tendenza alla sterilizzazione delle garanzie difensive. Tutti i più recenti interventi legislativi hanno nel tempo limitato ed assottigliato i diritti degli accusati, nella malcelata convinzione che i processi penali si debbano celebrare rapidamente e senza troppi fronzoli perché, tutto sommato, è sotto giudizio un criminale.

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Purtroppo questo spiacevole retro-pensiero sembra appartenere anche al Dott. Travaglio, il quale sostiene che “chi commette reati non avrà più alcuna speranza di farla franca con la prescrizione”. Questa frase è tipica di chi non conosce come opera la prescrizione: in tutti gli ordinamenti degli ultimi duemila anni (anno più, anno meno) è sempre stato garantito che lo Stato non avrebbe potuto tenere “sotto scacco” una persona a proprio piacimento, costringendola a vivere eternamente sotto giudizio e nella paura dell’esito di un processo penale.

Accettare certe idee autoritarie e distorte è frutto della convinzione per cui ogni accusato è un criminale: “se stai là, un motivo ci sarà!”. In realtà, nei tribunali quotidianamente si celebrano migliaia di processi che, nonostante non meritino l’attenzione televisiva, riguardano persone vere, con un nome, un cognome, una storia personale e magari anche una famiglia alle spalle che li supporta. Alcuni di loro “stanno là” perché hanno violato la legge, ma molti di più “stanno là”, davanti ad un giudice, senza essere colpevoli. Infatti ciò che il Dott. Travaglio non sa, o finge di non sapere, è che le assoluzioni in primo e secondo grado sono statisticamente di più delle condanne. È facile perciò dedurre che gli innocenti processati sono di più degli imputati condannati.

L’opinionista diventa poi spiazzante quando sostiene che “chi commette reati non avrà più alcuna speranza di farla franca con la prescrizione, nel caso in cui si arrivi alla condanna o alla assoluzione di primo grado”. In realtà, nessun avvocato ha il magico potere di mandare in prescrizione un reato e farsi pagare tanti soldi per esserci riuscito; né un imputato ha la speranza della prescrizione quando inizia il processo penale a suo carico, perché ciò significherebbe accettare di stare sotto giudizio per almeno un decennio… nel caso di reati comuni. Per quelli di maggior allarme sociale, invece, la prescrizione può arrivare a sfiorare i venti o i trenta anni… e nessuna persona sana di mente si auspicherebbe di rimanere tutta la propria vita adulta nell’incertezza di un esito processuale. E se, invece, sotto processo ci dovesse finire una di quelle persone che poi vengono dichiarate innocenti, che capacità avrebbe di sopportare questa ingiustizia? Per quanto la sua famiglia, i suoi amici, il suo datore di lavoro saranno disposti ad aspettare l’esito di un processo penale ventennale o trentennale prima di abbandonarlo alla sua sorte?

 

La risposta a questi interrogativi (che noi penalisti ci poniamo gravosamente tutti i giorni, soprattutto quando parliamo coi nostri clienti del loro futuro processuale nel medio-lungo periodo) ce la fornisce il Dott. Travaglio: “nessun imputato avrà interesse a tirare in lungo il suo processo per farla franca dopo vari anni. Tanto gli varrà di patteggiare la pena se sa di essere colpevole oppure fare più in fretta possibile per essere assolto se è innocente”. A leggere queste affermazioni, viene alla memoria quel fenomenale ritornello della Campagna AMREF degli anni ’90: “Basta poco, che ce vò!”. Se sei colpevole patteggi, se sei innocente sbrigati. In realtà, la colpevolezza non è un marchio a fuoco da stampare sulla natica o sul collo dell’imputato come fosse una bestia selvatica. La colpevolezza ha tante sfumature di colore ed è per questo che esistono un minimo ed un massimo della pena: il giudice dosa la sanzione secondo il grado della responsabilità personale, ossia tenta di individuare quale sia la condanna che tenga maggiormente in conto la persona e la personalità del condannato, oltre che le sue azioni criminose. E quindi potrebbe capitare che un imputato, pur ammettendo il fatto di reato, abbia interesse a spiegare le ragioni che lo hanno spinto a comportarsi in un determinato modo e così – magari – riuscirà ad ottenere una pena più mite di quella che un P.M. gli può aver proposto di patteggiare. Ma ancor più surreale sarebbe la posizione dell’innocente, o meglio di chi si dichiara innocente: secondo il giornalista, costui dovrebbe semplicemente andare dal P.M. prima e dal Giudice poi chiedendo di esser giudicato subito. E chi se ne importa delle decine di migliaia di cause che giacciono impolverate sugli scaffali delle Procura sotto organico; chi se ne importa delle migliaia di misure cautelari non eseguite per mancanza di cancellieri; chi se ne importa degli appelli fissati anche quattro anni dopo il primo grado; chi se ne importa se i processi non si possono celebrare perché i Tribunali non hanno i magistrati… “Ao! Io sono quello innocente e vado pure di fretta! Dai su, assolvetemi… ra-pi-di!”. Fa davvero sorridere anche il solo pensiero di questa ipotesi, mentre il Dott. Travaglio con assoluta sincerità intellettuale sembra credere che sia proprio questo, invece, il modo ovvio per accelerare la definizione dei processi penali.

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Tuttavia, proprio a fine intervista, emerge la chiara contraddittorietà e improponibilità di tutto quanto fin lì il Dott. Travaglio ha fermamente sostenuto: sono necessari dei fantomatici interventi di riforma che accompagnino il blocco della prescrizione “per evitare che con la prescrizione bloccata uno resti prigioniero della Giustizia per tutti gli anni della sua vita”. Sinceramente, qui ci starebbe davvero bene un sonoro “Ha capito!”. Finalmente il giornalista prende atto del pericolo più concreto e tremendamente immediato del blocco della prescrizione, l’unico rischio di cui però sino a quel momento non si era mai preoccupato: interrompere il decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado renderà una persona prigioniera dello Stato. Beh… non è propriamente un dettaglio secondario, anzi sembrerebbe un gran bel problema per chi dovesse viverlo. Però proprio sul più bello, ossia quando siamo pronti ad ascoltare quali siano le soluzioni per evitare quello che, in qualsiasi Stato civile e democratico, rappresenta un rischio assolutamente inaccettabile, l’aedo del giustizialismo più spinto tace. Nulla dice. Nulla propone. Ed allora, forse, nulla sa.

 

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