TIVOLI – Crac Poggi, i legali di Caucci Jr: “Ditta indebitata, colpevolezza non dimostrata”

Parlano gli avvocati David Bacecci e Daniele Grimaldi: “Il patteggiamento non è un’ammissione di responsabilità”

In riferimento all’articolo “Bruno Poggi e Figli, un crac da 11 milioni di euro: Caucci Jr condannato, il padre a giudizio”, pubblicato alle pagine 6 e 7 di Tiburno di martedì 29 ottobre l’avvocato Davdi Bacecci, difensore di Serafino Caucci, osserva: “Il tenore dell’articolo e la terminologia utilizzata, a mio avviso, non consentono una ricostruzione della vicenda in questione in modo chiaro e imparziale. In particolare vengono date per provate, con toni assertivi, circostanze e fatti che dovranno essere accertati, nel merito, dal Tribunale di Tivoli nel processo che avrà inizio nel mese di dicembre del prossimo anno. Nello specifico, poi, il mio assistito Serafino Caucci ha definito il processo con il rito alternativo del cosidetto patteggiamento quale scelta processuale che non implica un accertamento dei fatti contestati. Inoltre, il riferimento alla carica onorifica ricoperta dal mio assistito all’interno della Società Sportiva Tivoli Calcio (riportata nell’articolo con il termine inappropriato di “patron”), oltre a risultare inopportuno appare del tutto inconferente rispetto al fatto di cronaca descritto nell’articolo in questione, non avendo con questo alcun nesso logico se non quello di enfatizzare la rilevanza della notizia”. Sullo stesso articolo l’avvocato Daniele Grimaldi, legale di Ernesto Musso, chiarisce alcuni aspetti che a suo parere possono essere equivocamente interpretati. “Invero, l’intero tenore dell’articolo in questione attribuisce al mio assistito – in maniera certa e dimostrata – fatti e condotte il cui accertamento, invece, è mancato a seguito dell’intervenuto rito alternativo del cosidetto patteggiamento, rimanendo l’ipotesi accusatoria non vagliata nel merito e di conseguenza la responsabilità del mio assistito non accertata. Non è vero che la Ditta Bruno Poggi e Figli srl è stata rilevata per essere mandata in dissesto, come riportato nell’articolo. Vero è, invece, che la società al momento dell’acquisto dai precedenti proprietari risultava gravata da debiti per oltre euro 8 milioni e sono state impiegate ingenti risorse finanziarie per rilanciarla sul piano economico e, soprattutto, per salvaguardare tutte le posizioni lavorative di cui godeva l’azienda. Purtroppo, la congiuntura economica sfavorevole – sia globale che del settore – il mancato rinnovo delle autorizzazioni all’escavazione (sfociato in contenziosi dinanzi al Giudice Amministrativo) e l’elevato debito ereditato, hanno determinato il fallimento della società nonostante gli sforzi impiegati per attuarne il salvataggio. Si è trattata, pertanto, di un’iniziativa economica che non ha sortito i frutti sperati e la cui illiceità non è stata accertata da una sentenza del Tribunale che, a seguito di un dibattimento svolto nel contraddittorio delle parti, abbia scrutinato nel merito i fatti contestati al mio assistito”.

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