Moscatelli: Il coronavirus non rispetta nessun confine

La vita al tempo del Coronavirus 

Di Giorgio Moscatelli

Mi sono svegliato presto, come tutte le mattine in questo periodo. Oltre i vetri della finestra vedo una pioggerellina che picchia sui mattoni del muro di fronte. E’una giornata uggiosa e fredda, forse il colpo di coda di un inverno fin troppo mite. Ginevra, la mia gatta, è sdraiata sul suo cuscino tra la tastiera e il monitor, fa le fusa e mi guarda mentre aspetta una mia coccola, una carezza che gli dia un po’ di affetto ed io obbedisco, lei si stira allungando le zampette posteriori in quel suo fare affettuoso molto gattesco. In questo periodo di reclusione forzata mi trovo spesso a chiacchierare con lei, la mia gatta, ma vi pare normale?

Poco prima, appena sveglio e non ancora del tutto lucido, con gli occhi fissi al soffitto, ho cominciato a rincorrere i miei pensieri, a cercare di dare un ordine logico alla mia mente: Sul bianco del cielo sopra di me ho visto proiettata la mia colazione, importante impegno mattutino, quella piacevole visione è stata interrotta da piccole crepe dell’intonaco; “Ieri mattina c’erano? non ricordo ma tanto qui in casa non entrerà nessuno per un bel pezzo”. A questa riflessione nel mio cervello si è fatto strada con forza tutto quello che ci sta cadendo addosso in questo triste periodo: le mascherine di vario tipo, i guanti in lattice, gli ospedali, le tende, i medici e le infermiere che sembrano marziani immersi nelle tute bianche, le ambulanze che corrono a sirene spiegate nel bel mezzo di strade deserte, i droni che cercano i trasgressori della quarantena. E sì, siamo in piena emergenza dovuta a quel maledetto coronavirus o covid 19 come diavolo si chiama. Una piccola striscia azzurra generata dal correttore di Word mi avverte che forse quei due bruttissimi sostantivi vanno messi al maiuscolo. Non gli presto attenzione pensando che questo gli dia meno importanza, purtroppo mi rendo conto che l’importanza se la sono presa da soli.

Sono davanti al computer con una pagina di word aperta, vorrei scrivere qualcosa su questa pestilenza che ci ha colpito a tradimento, quest’orribile malattia che è arrivata da lontano in modo subdolo e senza avvisarci; “Tanto viene dalla Cina, ne sentiremo parlare per qualche giorno, forse per una settimana, fin quando una notizia più importante ne occuperà il posto”. Non è stato così, siamo a due mesi circa dall’inizio di questa vicenda e ancora non se ne vede la fine; “Qui a Fonte Nuova non arriverà mai questa malattia, siamo lontani dalle città, siamo in campagna e l’aria è buona”. In una clinica della città di Fonte Nuova, la mia città, sono stati ricoverate un buon numero di persone contagiate. Il coronavirus non rispetta nessun confine. 

Vedo il cursore lampeggiante in alto a sinistra nel monitor, mentre le mie dita sono ferme sulla tastiera. Vado su Google, apro il giornale per leggere le ultime notizie e cercare un’ispirazione. Subito la prima pagina mi sbatte addosso delle cifre enormi, più alte di quelle della sera prima, il trend in crescita continua la sua folle corsa verso l’alto, poi qualcuno, con la sicurezza di chi ricopre  un importante incarico, dice che il trend è in discesa, “Ma come? I numeri salgono e il trend scende”, poi mi spiegano il perché, è tutta una questione di tamponi, non sono sicuro di aver capito ma mi fido, o almeno ci provo. Faccio scorrere il giornale verso il basso, mi colpisce un articolo, dove si racconta di una lettera mandata ai medici e agli infermieri di un ospedale di Bari. L’ha scritta un giovane guarito dal coronavirus per ringraziare tutti i sanitari che conclude scrivendo: “Andrà tutto bene”. Questa notizia mi emoziona, con gli occhi lucidi continuo a scorrere il quotidiano. Dopo alcune immagini mi appare a tutta pagina il titolo di un articolo: “Non è vero che ce la faremo”, spiega una dottoressa di una regione del Sud del nostro Paese; se non rispetteremo le indicazioni, non vedremo la fine di questa pandemia. Una dichiarazione non certo incoraggiante.

Lascio il giornale, apro Google e digito coronavirus. Si apre la finestra del famoso motore di ricerca che m’invita a guardare i video dei canti e degli inni nelle piazze e nelle strade italiane: grandi applausi ai medici e agli infermieri, l’inno di Mameli che ci dovrebbe unire in un momento di dolore, di crisi, di paura. Le cifre dei contagiati e dei morti tornano a danzare davanti ai miei occhi di nuovo umidi per l’emozione. In un altro video c’è il resoconto degli aiuti che arrivano al nostro Paese dalla Cina, dall’Albania e perfino da Cuba mentre le Nazioni vicino a noi, ai nostri confini, chiudono le frontiere. Sono attratto dal video di un medico che parla con un certo fervore, lo apro pensando di ascoltare raccomandazioni sul comportamento da tenersi per difendersi da questa moderna peste ma no, il medico invece accusa le istituzioni d’incompetenza e di ritardi, incolpando tutti di omicidio di massa. In un altro video si vede una lunga fila di carrelli di un supermercato spinti da gente che aspetta il turno per entrare a fare la spesa. Poi ancora video con persone che cantano una vecchia canzone dei Beatles per ringraziare in quel modo chi lavora contro il coronavirus, seguiti da un’immagine sconvolgente di auto della Polizia ferme al lato di una carreggiata, all’uscita di un’autostrada, uomini in divisa schierati sugli attenti e con la mano alla visiera per l’ultimo saluto a una colonna di camion che contengono centinaia di bare destinate a un crematoio. 

Chiudo il computer e mi alzo, vado alla finestra che è quasi sera, quella pioggerellina che mi ha accompagnato per la colazione non c’è più, in compenso il cielo si è fatto plumbeo e inquietante. Nuvole cariche di pioggia avvolgono i monti che vedo dalla mia casa. Lontano, sopra Tivoli, Montecelio e Palombara la pioggia scende copiosa, il cielo si è fatto scuro. Le prime luci delle case si accendono in una sequenza triste e malinconica, forse anche loro vogliono dare l’ultimo saluto a quelle vittime di una guerra contro un nemico invisibile. Il senso di disagio che si era insinuato dentro di me ha provocato tristezza e malinconia, forse anche paura che cerco di respingere ma non ce la faccio. L’unico antidodo contro quest’angoscia è di non cercare le notizie, nessun tipo di notizia che non venga da una fonte istituzionale o dalla stampa ufficiale. Sono troppe le notizie false pubblicate da criminali informatici che fanno sciacallaggio su questa triste vicenda, pur di accaparrare voti politici o peggio ancora per profittare della rabbia di qualcuno in un momento così delicato per il nostro popolo.

Questa maledetta pandemia ci ha reso tutti un po’ più fragili, siamo colpiti dalle vicende che ci circondano, dalle migliaia di morti che non hanno potuto salutare i loro cari per l’ultima volta, dai tanti medici e infermieri deceduti per aiutare i contagiati dal coronavirus. Questa quarantena che ci obbliga a stare in casa, a vagare tra il salotto, la cucina e il balcone, è l’unico rimedio contro un contagio che ci può colpire da un momento all’altro. Sui notiziari televisivi sento continuamente dire che questa epidemia cambierà il nostro modo di vivere. Lo spero, con tutto il cuore. Suonano alla porta, indosso mascherina e guanti e apro: è mio figlio Mauro che mi porta la spesa fatta nel supermercato sotto casa. 

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