Da ieri, 18 maggio, sono state molte le persone che, armate di coraggio e mascherine, hanno cominciato ad uscire di casa per sperimentare la colazione al bar, fare compere (l’antico termine pre-quarantena era “shopping”), andarsi a tagliare i capelli e – finalmente – rivedere gli amici.
Si sta tornando alla vita normale e si spera di poter proseguire per questa strada.
Tuttavia ci sono delle categorie di persone che hanno sviluppato la cosiddetta “Sindrome della Capanna”, o “Sindrome del Prigioniero”. Costoro, sin da subito, hanno accettato la necessaria decisione di restare chiusi in casa, passando alla storia come “quelli che se ne sono fatti una ragione” e non hanno obiettato. Molti di loro hanno approfittato di questo periodo di reclusione per comprendersi al meglio, fare dei percorsi di meditazione, spolverato i libri dimenticati sui mobili e scoperto nuovi hobby, primi su tutti quelli culinari (come dimenticare la famosa scomparsa del lievito dai supermercati nella settimana 2 di quarantena?)
Questo nuovo stile di vita pare che sia difficile da abbandonare, motivo per il quale molte persone, ora, hanno il timore di uscire di casa. La paura non è correlata in maniera univoca al pericolo di contagio, ma è più un fattore di legame che si è creato con se stessi e con il proprio ambiente casalingo.
È iniziato ufficialmente il periodo di “convivenza con il virus” e bisogna rispettare tutte le regole che ci sono state comunicate. Si può tornare lentamente alla vita di prima e farlo con una maggiore conoscenza di noi stessi può solo che farci bene.
Forse è proprio questa consapevolezza la prima vera boccata d’aria.