Carlo Sini, il filosofo che esalta il discorso comune in opposizione alla scienza

Riflessioni a ruota libera con il filosofo Carlo Sini su mancanza di tempo, consumatori come sudditi e fake news, tutto nell’epoca post-Covid. Con un monito: il pianeta è più forte di noi

Come cambia la comunicazione?

Riflessioni a ruota libera con il filosofo Carlo Sini su mancanza di tempo, consumatori come sudditi e fake news, tutto nell’epoca post-Covid. Con un monito: il pianeta è più forte di noi

Come cambia/sta cambiando la comunicazione in tempi post moderni, e soprattutto dopo il Covid? Il filosofo Carlo Sini, classe 1933, sostiene che “proprio l’esperienza della pandemia mostra in maniera drammatica e crudele i limiti delle nostre conoscenze: sta crollando un universo di convinzioni rispetto alle quali ci sentivamo sicuri, la scienza della natura con tutti i suoi meriti è un lumicino nella notte. Non sappiamo nulla dei virus e della combinatoria della vita, abbiamo nozioni vaghe sull’universo e i fenomeni macroscopici”. Infatti, dice ancora il filosofo, “l’equilibrio che l’uomo si è costituito lentamente nel tempo rispetto alle altre forme viventi, è esploso perché abbiamo sostituito alla relazione evolutiva naturale, quella mediata dal linguaggio – prima macchina – e dagli strumenti esosomatici -seconda macchina- che hanno sconvolto questo ordine con grandi vantaggi”.

A quali vantaggi allude?

 “L’agricoltura ad esempio è un grande vantaggio. Quando poi siamo passati dall’agricoltura alle macchine artigianali, poi a quelle industriali, è saltato tutto: siamo diventati padroni del pianeta e non ci siamo accorti che il pianeta è più forte di noi. E qui dobbiamo riflettere da capo”. 

Oggi, in tempo di social media, la stampa serve ancora a formare l’opinione pubblica? 

“Questa trasformazione della comunicazione pubblica, quindi del discorso, legata al supporto, è una visione delle cose che la semiotica contemporanea ha ampiamente sviluppato. Io mi sono interessato in particolare dell’influenza della scrittura alfabetica nella costituzione di una mente logica, che sa ragionare attraverso le entità dell’alfabeto, le parole svincolate dal discorso. Un uomo dell’oralità primaria, cioè che non conosce la scrittura, non ha parole, non ci sono per lui parole legate dal gesto linguistico, dal gesto vocale. Da quando invece noi abbiamo cominciato a utilizzare il papiro o la pergamena e poi c’è stata la grande rivoluzione del libro, della carta, è evidente che la comunicazione umana, come diceva il grande filosofo statunitense Charles Sanders Pierce, è tale che “Non posso evitare di essere influenzato dalle opinioni degli altri, e che si è potenziata in tal senso al massimo grado. Questa è la modernità”.

A questo contribuisce anche il supporto su cui la comunicazione viene veicolata, dalla fine della sovranità assoluta del re di Francia, cioè la comunicazione autoritaria, all’inizio dei murales di Parigi: i giornali incollati sui muri della città che costituiscono il traino della grande rivoluzione illuministica e democratica. “Naturalmente”, sottolinea Sini, “la smaterializzazione progressiva del mezzo di trasmissione, del supporto, delle macchine, è motivo di democratizzazione della cultura. Il fatto che oggi sia entrata nell’Era dell’Elettronica sta producendo conseguenze gigantesche di cui siamo poco consapevoli e che non sappiamo governare con saggezza. Una conseguenza negativa è la distruzione della democrazia rappresentativa, perché attraverso questi strumenti qualunque “balla” va bene, anzi, bisogna ingannare l’opinione pubblica”

Insomma, tante fake news: come riconoscere e trattarle? 

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“Le fake news sono parte del discorso umano da sempre, quando parliamo possiamo dire il vero oppure no. Difficile proteggerci, perché evidentemente qui abbiamo un conflitto che non sappiamo risolvere tra il principio di autorità e il principio di legittima conseguenza, e quindi di verità effettiva di quello che si dice. È l’autorità che espone la notizia a renderla credibile. “L’hanno detto gli scienziati” si dice, come se questo fosse autorevole. Figuriamoci quando l’autorevolezza è quella della popolarità. Questo è il mondo della popolarità, della cultura di massa, nel suo bene e nel suo male. Nel fenomeno degli influencer, il principio di autorità continua a essere imperante, ma in una forma demenziale, assolutamente incontrollabile.

Adesso la relazione tra la notizia e il consumatore della notizia è impazzita, e ormai chi la spara più grossa ha più successo sul piano dell’opinione pubblica, anche se temporaneo”.

Dunque, impossibile rilassarsi?

L’ansia è indubbia, perché il desiderio sarebbe quello di stare tranquilli e avere verità definitive, però questo è un cattivo investimento, sarebbe come pretendere che i nostri figli restassero sempre bambini. La verità non è una cosa, una proposizione, bisogna in questo rassegnarsi: moriremo senza che nessuno ci dirà come stanno davvero le cose. La verità, come diceva Enzo Paci, il mio maestro, vive e quindi per fortuna cambia perché appunto cresce, si trasforma e diventa altra cosa. La verità è una relazione degli gli esseri umani tra di loro e tra gli esseri umani e la natura, il mondo in cui vivono. E quindi, siccome loro crescono e si modificano, si esprime in messaggi sempre nuovi”.

Come mai i cittadini leggono sempre meno e i lettori sfuggono al confronto democratico?
“Ci siamo fatti delle illusioni, dall’Illuminismo in avanti, ad esempio con la creazione della scuola pubblica obbligatoria. Io da giovane insegnavo alla scuola media unica, ed ero felice dell’unificazione della scuola, in polemica con altri miei colleghi più anziani, che erano scettici. Beh quello scetticismo aveva le sue ragioni: abbiamo verificato la difficoltà del progetto che ci siamo dati, cioè di rendere effettivamente sovrano il popolo”.

Che vuol dire?

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“Significa che è sovrana l’opinione di ognuno nel dialogo con quelle degli altri. Il problema è che le persone non ne hanno molta. Non dimentichiamoci che quando Rousseau, maestro della democrazia, cominciava a diffondere questi problemi dicendo che è il popolo ad essere sovrano – non il sovrano, cioè il re – diceva però che la democrazia doveva essere diretta, una democrazia di piccole entità. Nel momento in cui noi invece abbiamo costruito in una eredità storica le grandi Nazioni che vengono dal Medioevo portandole verso l’età moderna e abbiamo sostituito il re mettendo al suo posto l’Assemblea Popolare, e poi i rappresentanti del Popolo nella Assemblea Popolare… il popolo ce lo siamo perduto, è rimasto suddito”. 

Perché il popolo non riesce a prendere consapevolezza della propria funzione, del proprio potere?
Per Socialisti e Marxisti è stato molto difficile convincere i lavoratori che erano un’entità tale da potersi coalizzare, che poteva perseguire finalità comuni. Si è però realizzato perché esisteva questa categoria, si trattava di renderla consapevole a coloro che ne facevano parte, dicendo loro che erano una forza da esercitare politicamente. Il consumatore allo stato attuale è un suddito, anzi è proprio uno schiavo. È legato alla macchina dell’Industria come una conseguenza, come l’operaio lo era alla macchina dell’industria, e poi attraverso la rivoluzione socialista ha preteso di non essere più semplicemente un prodotto della macchina, un’appendice della macchina, ma di avere una contrattazione politica con il datore di lavoro. Così dovremmo noi immaginare che diventi il consumatore. Ma come immaginarlo? Il consumatore è suddito, psicologicamente asservito, per sua natura”. 

Una catastrofe: come affrontarla?

“Non lo sappiamo: con la psicologia? Con la filosofia? Con la religione? Non appena il discorso diventa un po’ più serio scappano tutti: non hanno voglia, non hanno tempo. Il mondo in cui vivono gli ha mangiato ogni tempo e sono sempre di corsa a fare qualche cosa di cretino che per loro è vitale”.

 

 

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