Villalba, brutto incidente per Bari: il giovane è in rianimazione

Alessio Bari torna a casa: “Ho capito il valore della vita, ora sogno di diventare un fisioterapista”


L’ex calciatore del Villalba si racconta: “Voglio solo tornare a camminare normalmente. Il calcio? Solo con un miracolo”

Di Valerio De Benedetti

Una domenica d’estate come tante altre, finita nel modo più inaspettato. Nel tardo pomeriggio del 28 giugno, Alessio Bari, studente di Scienze Motorie 21enne di Tivoli, era alla guida di un motorino, quando ha perso il controllo del mezzo finendo brutalmente su una Renault Clio parcheggiata sul ciglio della strada, alla fine del salitone che da piazzale Largo Saragat conduce su via Tiburto a Tivoli. È così che la vita della giovane promessa del Villalba calcio è cambiata per sempre. D’urgenza all’ospedale di Tivoli, poi trasportato il giorno successivo al San Giovanni Addolorata di Roma. È qui che Alessio ha subito un lunghissimo intervento in seguito alla diagnosi che aveva evidenziato la frattura di due vertebre (D4 e D5) e soprattutto una grave lesione midollare. Quindici giorni travagliati, poi infine lo spostamento al CTO di Roma per cominciare cinque lunghissimi mesi di riabilitazione.

Alessio, 28 giugno. Cosa rappresenta per te questa data?
Un giorno particolare, che non ricordo però con tanta tristezza. Mi ha aiutato a capire tante cose, mi ha fatto rinascere anche se è stato un giorno tremendo e brutto. Oggi mi sto riprendendo bene, questo è l’importante.

Cosa ricordi di quel giorno?
Ricordo il prima e il dopo. Ero con i miei amici. Quel giorno non dovevo guidare ma ho perso un paio di chiavi e per andare a riprenderle ho preso il motorino. Poi buio totale. Mi ricordo l’ospedale di Tivoli dove mi hanno sbagliato la diagnosi, ma non ricordo nulla dell’incidente. È un trauma. Quel giorno ci sono state tante coincidenze, ma ormai è andata così.

Cosa è successo allospedale di Tivoli? Non si sono accorti di nulla?
Dicevano che avessi un trauma e mi volevano mettere in piedi con il busto. Se mi avessero fatto questo, mi avrebbero danneggiato per tutta la vita perché sarei caduto a terra. Nella sfortuna poi è andato tutto bene perché poi ho trovato persone competenti sulla mia strada.

Sei stato in coma?
Non sono stato in coma. Dopo l’operazione mi hanno fatto dormire per qualche ora successivamente, ma poi mi sono svegliato e sono stato sempre vigile.
Quanto tempo hai passato in ospedale?

Il calvario è stato lungo e ancora non è finito. Sono stato 15 giorni al San Giovanni dove sono stato operato e non potevo vedere nessuno a causa del Coronavirus. Per me è stato tremendo. Poi mi hanno trasferito al CTO a Garbatella dove ho passato cinque mesi lunghissimi di duro lavoro. Sono tornato a casa l’11 dicembre, lo ricordo bene quel giorno.

Cosa hai provato?
È stato bellissimo. Ero un po’ frastornato, ma mi hanno fatto una sorpresa al mio arrivo. Ho provato un senso di libertà difficile da spiegare.

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Sei uscito sulle tue gambe?

Si, grazie a un deambulatore che mi aiutava a camminare. Poi ho iniziato la fisioterapia a Villa Dante a Guidonia. Faccio 3-4 ore tutti i giorni. Oggi vado avanti con le stampelle, un passo che non pensavo di riuscire a fare così presto. Sembra che tutto vada bene, non me l’aspettavo. La fisioterapia è tosta, è una questione anche mentale. Ce la devi mettere tutta ma è quello che sto facendo e ne sono contento.

Qual è la cosa più importante che hai capito in questi mesi in ospedale?
Mi arrabbiavo per delle piccolezze, per delle cose inutili. Solo dopo capisci che il valore della vita è un altro. Prima non facevo caso a molte cose, a quanto sono importanti la famiglia e gli amici. La vita è bella, aldilà delle cose che ti possono capitare.

È stato un periodo di riflessione sulla vita e su te stesso?
Molto, non ho mai riflettuto così tanto in vita mia. Stando in ospedale vuoi o non vuoi pensi. Ho capito quali sono le cose importanti e quali lo sono meno. Mi ha aiutato molto per quello che sono adesso. Mi sento molto più maturo e più consapevole di me stesso. Adesso so chi sono.

Solidarietà di compagni, tifosi, amici, famiglia. Cosa ha rappresentato per te la loro vicinanza?

Molto importante. La diagnosi diceva che io non potevo più camminare. Quando hai una lesione midollare, il 90% delle persone non tornano a farlo. Io ce l’ho fatta grazie a loro. Il giorno dell’operazione c’erano tante persone fuori, ed è grazie a loro se sono qui. Sarebbe stato difficile senza il loro appoggio, li ringrazierò ogni giorno per il bene che mi hanno voluto e mi vogliono.

Hai scoperto una forza che non pensavi di avere?
Mi reputavo una persona forte, però non avevo basi per affermare questa cosa. Ora invece posso dirlo. Sono rimasto calmo quando mi hanno detto che non avrei più camminato. Una cosa così manda al tappeto molti, io invece penso di aver trovato una forza che non avevo e che mi porterò dentro per tutta la vita. Ho superato una cosa molto importante.

Qual è stato il momento più brutto?
I primi dieci giorni al San Giovanni. Non muovevo niente, nessun muscolo delle gambe, e la situazione era brutta. Mi chiedevo perché fosse successo proprio a me. Già immaginavo la vita senza camminare. Sono stati un calvario tremendo.

Il momento più bello e speranzoso invece?

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Quando finalmente un giorno, dopo vari esercizi, la mia fisioterapista mi ha detto che era ora di fare due passi e provare a camminare.

La prima volta che hai potuto incontrare gli occhi dei tuoi genitori dopo l’operazione, cosa hai fatto?
Non ho parlato, non avevo parole, ho pianto. Loro dicevano a me che ce l’avrei fatta a superare anche questa.

Quando pensi di poter tornare a una vita normale?
Da quello che mi hanno detto i medici, la mia vita tornerà normale, ma non a livello sportivo. Spero entro questa estate di poterlo fare, magari proprio il giorno dell’incidente. Per ora va bene stare con le stampelle, già questo è un miracolo, sembra che mi sia rotto solo una gamba, invece mi sono rotto tutto un sistema nervoso.

Hai una piccola speranza di poter tornare a giocare a calcio, anche solo per diletto?
Il mio obiettivo principale è tornare a camminare come una persona normale. Non penso al calcio in questo momento, mi darei false speranze, però un piccolo spazio lo lascio. Quando vedo le partite, o vedo passare una palla in palestra fremo, ho voglia. Dovrebbe succedere un miracolo, non si sa mai.

E adesso lo studio?
Sto continuando scienze motorie, ho studiato e dato degli esami in ospedale. Dopo quello che mi è successo però, ho visto come lavorano i fisioterapisti riabilitativi e mi sono appassionato. Vorrei cambiare facoltà e fare il fisioterapista per chi deve fare riabilitazione neuromotoria. Mi piacerebbe aiutare persone che hanno difficoltà come quelle che ho avuto io.

La persona più importante che ti ha aiutato?
La mia famiglia in generale, ma in primis mia sorella Veneriola, che mi ha travolto di bene. Ha 25 anni, è più grande di me. E poi i miei amici più stretti, il mio gruppetto stretto.

Come è stato passare il Natale a casa tua?
Non era sicuro lo passassi a casa, ho spinto molto per farlo. Mi è servito per avere un momento sereno con la mia famiglia non in ospedale. È stato molto bello.

Quest’estate sembravi pronto per il grande salto a livello sportivo, dopo una grande stagione…
C’erano diverse opportunità, avevo avuto anche qualche contatto con la Tivoli, però niente più. Ero però pronto per fare un salto, era quello che sognavo da tempo. Alla fine è andata così.

Il tuo sogno nel cassetto ora?
Prima era giocare a calcio, ora è essere una persona normale, tornare a camminare, realizzarmi in quello che voglio fare. Voglio aprirmi un mio studio da fisioterapista in futuro. Voglio vivere in maniera tranquilla, autonomamente.

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