Quando l’austerità è un muro per arginare il peggio

Scelta troppo austera per i dati della regione ma riparano dal peggio per predisporsi al meglio

Anche il Lazio in zona rossa. Del resto era prevedibile. L’escalation dei dati sui nuovi contagi l’ha tenuta in giallo fino a ieri, ma solo di poche frazioni di unità di Rt, che è la percentuale con la quale si conteggia il rapporto tra tamponi e contagiati.

Solo che quell’indice RT è di superiore, si, ai livelli in cui si è divisa la classificazione gialla, arancione e rossa, ma i parametri di Roma e provincia per terapie intensive è molto al di sotto della soglia di preoccupazione. D’altro canto è vero anche chi dati sono molto altalenanti. Non si può parlare di una crescita costante e coerente, tanto da poter parlare di terza ondata. Qui si contrappongono le definizioni tanto da finire nel grottesco. Il tutto nell’impossibilità di dare raffigurazione intuitivamente percepibile al senso comune. La verità più vera è che gli esperti non capiscono il fenomeno e questo si capisce anche dalle parole utilizzate per definirlo.

In definitiva l’unica misura conosciuta è la chiusura. Si doveva chiudere già a fine settembre (Walter Ricciardi) per tenere aperto tranquillamente a Natale e invece si è chiuso a Natale. Si chiude a Pasqua al fine di non innalzare i contagi e conseguenti decessi.

Ma dire “chiusura” significa mandare in malora la vita di tanti piccoli imprenditori del commercio e di lavoratori senza inquadramento fiscale e contrattuale. Circa un terzo degli italiani.

E allora si debbono trovare misure, per così dire mitigate, di clausura. Qui comincia il balletto dell’apri e chiudi sulla base di quanto un servizio sia nevralgico per la società o per la sussistenza di intere tipologie di lavori.

Il risultato è questa chiusura completa, ma non per tutti e non sempre. Fin quando l’altra ondata delle vaccinazioni porterà la nostra zattera finalmente sulla terra ferma.

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