I settecento anni di Padre Dante

Iniziano le celebrazioni dell’uomo che ha adottato il dinamismo del linguaggio per fermare l’ironia della vita e della sua ineluttabilità

Quello che ha insegnato il Sommo Poeta consiste in un insegnamento etico. Non possiamo rinunciare a vivere la nostra vita e a farlo nel senso dell’autenticità. La sua storia ha significato la missione di una riforma incompiuta perché fallita. Ma la sua evocazione di storie personali consiste nel rovesciamento radicale del senso ordinario dell’esistenza che dovrebbe tendere esclusivamente alla sua salvaguardia. I personaggi danteschi in modo diverso scommettono tutto per fondarsi sul qualcosa che dà fondamento al proprio essere nel mondo. La paura della morte è sublimata con la sua certezza ed il luogo del trapasso è celebrato in ciascuna delle tre cantiche. Il problema sta tutto nei convincimenti per cui diamo un sapore e uno spessore alle vicende costitutive del nostro essere tanto da fare di queste vicende vita stessa. In tal senso è nell’opera stessa della Comedìa che si evince il grande assunto hegeliano per cui non è Dante a fare la Divina Commedia è la Divina Commedia che fa Dante. Non è la vita a dare senso alle cose che si vivono sono queste stesse cose a dirci che stiamo effettivamente vivendo. Altrimenti somigliamo a Branca Doria nella Tolomea (XXIII, Inferno) transfugo dell’esistenza e raccontato nella Tolomea che, sebbene morto spiritualmente, “magia bee e veste panni”: appare ai viventi come una persona viva. L’horror vacui per gli ignavi, l’indifferenza per coloro che non hanno scelto, non hanno trovato una collocazione nel solco esistenziale abdicando al tentativo di incidere in questo solco. Quello di Dante è sempre il racconto di un viaggio dove i percorsi infausti sono sempre metafore delle tempeste vissute nella coscienza della soggettività. In tal senso la figura in cui il Poeta porta sé stesso come emblema fa da pendant all’Ulisse omerico, così come l’Ulisse di Joyce e come è stato anche individuato da Borges, dal Capitano Achab di Moby Dick. È questo grande insegnamento di cui non ci si dovrebbe stancare mai di dire. Ben diverso dal pretesto per la celebrazione di qualche città italiana o della lettura dei suoi versi. Celebrazione stancamente esclusivamente celebrativa se i suoi versi non sono pensati, vissuti, trasfigurati dal soggetto dicente.

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