Due lezioni dalla pandemia

Quando le posizioni di parte non aggiungono nulla alla soluzione del problema

Nel paese dei guelfi e dei ghibellini doveva succedere anche che ci si dividesse sui metodi di contrasto alla pandemia. Si sono quindi formate due grandi fazioni, i ‘riaperturisti’ e i ‘chiusuristi’. I primi dicono: ‘meglio rischiare di morire di Covid che morire di fame’. I chiusuristi rispondono: ‘meglio affamati che morti’.
Posizioni opposte che non hanno modelli di riferimento. Non ci sono esempi per cui si possa dimostrare che una linea sia meglio dell’altra. Come si combatte meglio il Covid senza ammazzare il nostro sistema di vita e le naturali libertà?
La domanda sul mistero epidemiologico non trova risposta nelle analisi sugli effetti relativi alle misure di contrasto intraprese.
In alcuni paesi la pandemia ha devastato la popolazione, in altri è stata assai più lieve. Perché? Difficile dirlo.
Si guarda allora al modello diverso dagli stadi di clausura differentemente imposti nei paesi dell’Occidente, così come in Cina. Il modello diverso da questi lo si indica nell’esempio della Svezia, dove non c’è mai stato un divieto di circolazione.
Nel paese scandinavo si è tenuta la linea del non chiudere, non obbligare alle mascherine, chiedere la distanza per evitare i contagi, ma non si è imposto nulla ai cittadini. Un modello che ha dato riferimenti agli ‘aperturisti’ durante la prima fase del contagio ad inizio 2020. Misura che però subito dopo si è mostrata inefficace.
Va detto però che in questo paese mentre era concesso di frequentare ristoranti e bar, gran parte delle scuole superiori e delle università sono rimaste chiuse. Vero pure che gli svedesi si sono mossi assai poco, anche senza restrizioni imposte. Ma anche le lievi restrizioni sono rimaste stabili, a differenza del tira e molla dei paesi europei.
Non deve infatti essere presa come vero e proprio contraltare di coloro che hanno adottato la clausura. Infatti in Svezia è vero che c’è stato maggior numero di nuove infezioni da Covid, rispetto agli altri paesi europei. Nella seconda settimana di aprile la Svezia ha contato una media di 625 nuove infezioni per milione di persone. Più della Polonia che si attesta a 521. Più della Francia, 491. Più dei Paesi Bassi 430. L’Italia nello stesso frangente di tempo ha contato 237 nuove infezioni. La Germania, 208.
Possiamo dire che questo è il risultato delle politiche di contenimento adottate nei singoli paesi? Non possiamo dirlo. Così come non possiamo dimostrare che nel nostro paese il contenimento dei casi è arrivato in conseguenza del lockdown o dei divieti evidenziati dalle colorazioni delle regioni.
Il divieto assoluto durante la prima devastazione del virus non ha prodotto i risultati aspettati. Non si è avuto il picco dopo tre settimane dall’8 marzo in cui è stata proclamata la chiusura. I casi hanno continuato ad aumentare fin quando abbiamo avuto il plateau, la stabilizzazione. Dopo di che è arrivato il caldo, che i virologi inizialmente non volevano considerare come causa annichilimento del virus. I contagi sono aumentati a settembre in fase di apertura totale, hanno avuto un’escalation e nonostante le zone rosse in buona parte d’Italia il dato si è stabilizzato con degli alti e bassi indifferenti alla politica di gestione adottata.
Il secondo insegnamento che traiamo da questa grande lezione pandemica è che le ricette risolutive vanno lasciate alle idee di regime. Il male si combatte con la medicina adeguata.
Il primo insegnamento? Lo dovremmo ripetere sempre perché lo dimentichiamo. In uno stato pandemico “nessuno si salva da solo”.
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