L’omicidio di Calabresi è ancora una notizia

Le ferite non cicatrizzate del terrorismo portano a pessime cronache poco rispettose della Storia

Il 17 maggio 1972 a Milano fu esecutata la condanna a morte per il commissario Luigi Calabresi effettuata da militanti di Lotta Continua. Iniziavano gli Anni di Piombo e dopo la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, l’omicidio del commissario macchiò di sangue, terrore e rabbia le cronache quotidiane.

A distanza di cinquanta anni quei fatti non sono stati consegnati alla Storia. Ancora fanno notizia. Giorgio Pietrostefani, militante di Lotta Continua, accusato e condannato in terzo grado di giudizio dell’omicidio, rifugiatosi a Parigi è stato trovato e sarà riportato in Italia.

L’Ansa ne ha parlato come “brigatista”. Errore non corretto neanche con una ribattuta. Errore che evidenzia l’ignoranza come condizione obbligata del cronista, oggi.

Pietrostefani, come Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, furono condannati con sentenza definitiva nel 2008. La pena fu di quattordici anni. Bisogna però ricordare anche che quando la sentenza di pena passò in giudicato, Pietrostefani tornò dalla Francia continuando a professare la sua innocenza. Iniziò il contenzioso per la revisione del processo che però non modificò la sentenza.

Ma la riflessione su questa storia del nostro recente passato riguarda l’effetto prolungato e tardivo di sentenze che avrebbero avuto senso se comminate ai tempi. Cosa ha a che fare oggi quell’uomo di settantotto anni che risponde al nome di Giorgio Pietrostefani con la sua memoria di ventenne?

Come risolviamo il problema di una sentenza che ancora non fa chiarezza e non soddisfa per le molte ombre ancora rimaste dissipate negli anni?

Se tanta confusione regna ancora nelle cronache di cinquanta anni fa figuratevi cosa possiamo chiedere al dispiegamento narrativo di fatti che invece riguardano l’attualità! La conseguenza di tutto ciò potrebbe essere la rinuncia a pretendere giustizia e verità, rimanendo l’ambito delle interpretazioni le unico possibile. Ma, di nuovo, certamente, non saremmo soddisfatti.

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