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Quali professionalità servono davvero al sistema produttivo italiano?

Quali sono le professionalità che servono davvero al sistema produttivo italiano? Se lo chiede il Centro Studi Confindustria, puntando l’attenzione sugli istituti tecnici e sul gap di competenze

Per la crescita del sistema produttivo italiano, alla luce anche e soprattutto dei nuovi scenari che mettono al centro sostenibilità e digitalizzazione, insomma la tecnologia nelle sue declinazioni, quali sono le professionalità che servono? Se lo è chiesto il Centro Studi Confindustria, soprattutto davanti a una semplice constatazione: molti profili di diplomati a indirizzo “professionalizzante” sono introvabili. Perché? Mancano queste professionalità non solo per carenza di offerta ma anche a causa del gap di competenze, tra quello atteso dalle imprese e quello posseduto dai candidati al momento dell’assunzione.

Ci sono soluzioni possibili, segnala il Centro Studi, come l’innalzamento nel medio periodo della qualità complessiva dell’istruzione degli istituti tecnici per allinearli ai livelli dei licei. Anzi, più di una soluzione in realtà. Formare questo tipo di professionalità rappresenta un obiettivo fondamentale per rilanciare l’attrattività dei cosiddetti istituti vocational, una terminologia inglese per indicare proprio le scuole di istruzione e formazione professionale (esattamente VET – Vocational Education and Training), specializzate in corsi che dotano gli studenti delle capacità richieste dai vari settori imprenditoriali.

Dagli istituti tecnici professionalità per trainare l’economia

Pertanto, sostengono i ricercatori di Confindustria, si può restituire a tutti gli istituti tecnici il ruolo trainante per l’economia locale e nazionale, mettendo a fattor comune le buone pratiche di scuole tecniche eccellenti sparse nei territori, ma comunque resilienti (aggettivo oggi decisamente di tendenza). Sulla falsariga di quando successo in passato, quando certe professionalità hanno lanciato il made in Italy nel mondo negli anni dell’immaginabile (oggi) “miracolo economico”, accompagnando il processo di industrializzazione dall’immediato dopoguerra. Si ricorda come la quota di diplomati di tipo professionalizzante sul totale dei diplomati fosse il 60% negli anni Cinquanta e abbia toccato poi il punto di massimo assoluto (77,5%) durante appunto il boom economico degli anni Settanta quando l’incidenza dell’industria raggiunse il picco del 44% in termini di quota di addetti. Resta dunque un elemento evidente: il legame tra intensità delle professionalità tecniche e lo sviluppo delle aziende. Senza quei profili c’è una frenata. Dunque, l’esortazione è a implementare figure tecniche professionali alzando il grado di competenza e anche il divario tra femmine e maschi, poiché tra le prime le scelte professionali su tale versante sono al 41% contro il 65% per i secondi, segno evidente ancora oggi dei pregiudizi sulla qualità degli istituti tecnici e professionali. L’obiettivo, a questo punto, si triplica: orientamento, alternanza scuola-lavoro, rafforzamento del sistema ITS (istituti tecnici superiori).

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