“Che cos’è di destra? Cos’è di sinistra?”

Paolo Guzzanti su IL Riformista di oggi propone una versione rovesciata per cui il progressismo e il senso del nuovo oggi corrisponde a destra mentre a sinistra insiste la conservazione

Il dibattito non è nuovo. La primogenitura non citata da Guzzanti-padre la si deve a Giorgio Gaber nella famosa canzone citata nel titolo. Ironia a parte, già il motivetto cantato dal genio milanese indicava l’impossibilità di dare definizione a “destra” e “sinistra” senza esemplificare in comportamenti-tipo.

Quando una questione, sebbene non fondamentale per la vita di ciascuno, non è risolta, continua a risuonare nel preconscio cognitivo. Si ripropongono quegli schematismi per cui in effetti la sinistra si pone come difensore dello status quo – l’Unione Europea così com’è, il mantenimento di appannaggi immeritati sia col reddito di cittadinanza che con super stipendi di funzionari di Stato e in continuità uno statalismo che blocca qualsiasi idea di grande riforma.

La destra invece si lancia verso il nuovo: attacca l’Unione Europea onde poi ritrarsi per capire che quella è l’unica spiaggia, vuole incrinare piccolissimi e grandi privilegi ma non fa nulla per smontarli, si dice a favore del libero mercato per un progetto anti-statalista ma i nomi e cognomi dei soliti papaveri che in modo diretto indiretto tirano le trame rimane immutato (vedasi la liquidazione dei Benetton).

Chiaro che in questo meccanicismo asfittico non c’è via d’uscita. Sinistra o destra sono obbligati a riproporre l’esistente per limiti strutturali.

Ed i limiti si leggono tutti nella mancanza di un orizzonte eidetico al quale guardare. Senza utopia non esiste proposta politica anche per riparare la buca che si è creata in una strada. La caduta dei socialismi reali, da una parte, l’improponibilità delle dittature nere dall’altra, l’agghiacciante sperequazione creatasi nelle condizioni di liberismo per le imprese, rendono i progetti che hanno caratterizzato il secolo scorso doverosi di mitigazione con l’altro da sé. Ed è così che le identità si appannano, le consapevolezze si tengono legate come la cozza allo scoglio su convincimenti legati alla nostalgia di un passato che non è mai esistito.

È l’ingresso della Storia come consapevolezza laica a costituire una condizione di ibridazione dell’identità progressista o conservatrice nelle persone.

Ma soprattutto c’è l’egida delle scelte determinate da grandi portatori di interessi per cui c’è rimasto da fare solo che quel che si deve fare. E per il resto? Non ce n’è per nessuno.

Fonte: Paolo Guzzanti su Il Riformista

 

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