39 anni cominciava fa l’agonia di “Alfredino”

I tentativi di salvataggio durarono tre giorni.

Sono passati 39 anni dalla tragedia avvenuta il 10 giugno 1981 lungo la via di Vermicino, vicino Frascati.

Quella fatidica sera, la famiglia Rampi si trovava in vacanza nella seconda casa. Durante il rientro da una passeggiata, il picccolo Alfredo, detto “Alfredino“, chiese al padre di poter ritornare a casa da solo, passando per i prati. Il padre, Fernando, acconsentì, ma una volta tornato si accorse dell’assenza del figlio.

Dopo mezz’ora di attesa, i genitori iniziarono le ricerche, cui seguirono quelle degli abitanti del posto, della Polizia, dei Vigili urbani e dei Vigili del Fuoco. Fu la nonna di Alfredo ad avanzare l’ipotesi della caduta del piccolo in un pozzo collocato in un terreno della zona, in quel periodo in via di edificazione. Tale pozzo era stato ricoperto da una lamiera apposta dal proprietario del terreno che mai avrebbe immaginato che proprio lì si trovava il piccolo “Alfredino”. Il brigadiere Giorgio Serranti, infatti, avvicinandosi all’imboccatura del pozzo, si accorse dei suoi lamenti, 60 metri sottoterra.

Le operazioni di soccorso si rivelarono essere subito difficili, poiché le pareti del pozzo erano irregolari e la sua apertura era larga appena 28cm. Venne dapprima calata una tavoletta a cui Alfredino doveva aggrapparsi, ma rimase incastrata nel cunicolo rivelandosi irrecuperabile. Durante la notte venne calata anche un’elettrosonda per comunicare con il piccolo, il quale parlava lucidamente con i suoi interlocutori. Arrivò poi la soluzione alternativa: scavare un tunnel parallelo al pozzo. Il fine di ricavare un cunicolo per entrare nella cavità dove si presumeva si trovasse Alfredino.

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Nel frattempo, Tullio Bernabei (dei giovani speleologi del Soccorso alpino) venne calato nel pozzo per rimuovere la tavoletta di legno incastrata, ma i suoi tentativi risultarono fallimentari, insieme a quelli di Maurizio Monteleone.

Subito dopo iniziarono gli scavi del “pozzo parallelo” e alle 13:00 andarono in onda le edizioni del TG1 e del TG2 nella speranza di riuscire a riprendere il salvataggio di Alfredino. Durante il primo pomeriggio entrò in azione una seconda macchina perforatrice (la terza venne attivata nel corso della serata) e, verso le 18 il primario di rianimazione all’ospedale San Giovanni verificò le condizioni di salute del bambino, affetto da una cardiopatia congenita.

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La mattina seguente vennero accelerati i lavori di soccorsi e si iniziò a scavare il tratto che metteva in comunicazione il pozzo con quello parallelo, ma la scavatrice a pressione si bloccò subito dopo che la sua messa in moto. Alfredino, nel frattempo, aveva smesso di rispondere. Anche Sandro Pertini, Presidente del Consiglio in carica, giunse sul luogo nel pomeriggio. Altri volontari, tra cui lo speleologo Claudio Aprile, il sardo Angelo Licheri, il contorsionista “Denis Rock” e il sedicenne Pietro Molino, vennero calati nel pozzo nell’invano tentativo di salvare “Alfredino”.

L’ultimo a farsi scendere fu Donato Caruso, lo speleologo che riportò in superficie la notizia della probabile morte del piccolo. Nel pomeriggio venne accertata la morte di Alfredino, avvenuta ad una profondità di circa 60 metri.

Il proprietario del terreno, Amedeo Pisegna, proprietario del terreno, venne arrestato con l’accusa di omicidio colposo e con l’aggravante della violazione delle norme di prevenzione degli infortuni e Nando Broglio, il pompiere che tenne compagnia al piccolo per tutto il tempo, è deceduto all’età di 77 anni nel 2017.

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