Domani è un altro giornale. Si venderà?

Il problema della schiena dritta dei cronisti e della loro capacità di leggere attraverso i fatti è la scommessa che Tiburno lanciò ad inizio anni Novanta

di Angelo Nardi
L’arrivo di un nuovo organo di informazione obbliga ogni operatore a fermarsi per uno spunto di analisi. Questo perché trova risposta affermativa alla domanda: ‘ma c’è proprio bisogno di un nuovo giornale?’ Evidentemente sì. Se qualcuno ci ha pensato e si è preso la briga di farlo è il segno che c’era bisogno di introdurre un altro lessico nel detto e contraddetto della rendicontazione sul mondo.
L’occasione però è resa assai più ghiotta perché trattasi dell’affermazione di quella che fu una delle prime grandi intuizioni di Tiburno. Dare notizia non tanto sull’attuale, discostarsi dal fatto puro e semplice, ma nello sviscerarlo ed evidenziarne le matrici, saper dire quel che accadrà.
Nelle riunioni di Tiburno la discussione sul da fare veniva effettuata una settimana prima dell’uscita del numero. Una giovane giornalista, allora alle prime armi oggi diventata una firma dell’informazione nazionale televisiva, ebbe l’improntitudine di chiedere: “ma come faccio io? Come faccio a sapere quel che accadrà domani o poco prima dell’uscita del giornale?” Ironica la risposta di noi veterani: “troppo facile il rendicontare l’oggi. Bisogna vederlo prima e darne voce’’.
Questa intuizione era di Rosanna Tempestini e a quasi un anno dalla sua scomparsa mi sembra doveroso ricordarlo. Al netto di tutti gli scazzi che queste previsioni comportavano. Liti su quello che sarebbe stato degli sviluppi nelle giunte o nello sviluppo dell’area metropolitana di cui era infaticabile sostenitrice.
IL limite di questa visione infatti consiste proprio nella mancanza di riferimento oggettivo in grado di dare una ragione e un torto. Quando le prospettive sono impostate su ipotesi tutto può essere controvertibile. Anche l’evidenza. Quindi se si vuole parlare di ‘domani’ inevitabilmente si deve accettare la discussione feroce. Del resto è così tanto diverso dall’attuale? È una realtà di fatto l’attuale? O molto spesso anche l’oggi non fa che rispondere a un’ipotesi?
Senza scivolare nel teorico la missione del giornalismo oggi deve intraprendere il percorso verso campi di attualizzazione del possibile. Ed è in altri termini quel che Stefano Feltri spiega nel suo editoriale quando esordisce con: “Ci sono momenti nella nostra biografia personale e collettiva nei quali l’unico modo per affrontare drammi che sembrano insuperabili è provare a impostare un futuro migliore”.
Rosanna Tempestini avrebbe firmato questa asserzione. Ma poi avrebbe fatto un giornale completamente diverso. Sì perché l’impostazione sulle cose da fare implica maggiori responsabilità e un decentramento dell’occhio di chi osserva per concentrare l’attenzione su quel che c’è in campo e sulle modificazioni in atto da sollecitare e quelle da frenare. Dire questo significa prendersi delle responsabilità. Continuare ad esserci quando qualcuno verrà a presentarti il conto dicendo che probabilmente quelle analisi erano sbagliate e devono essere rivedute. È successo nella nostra storia recente con il trionfo e lo smantellamento in poco più di un decennio del marxismo, ma anche con l’egida della logica del profitto, della produttività, dell’efficienza a cui tutto va sacrificato.
Oggi ci troviamo in una situazione avvantaggiata rispetto al passato perché questi due mostri ideologici sono morti. Dobbiamo ricostruire le trame delle nostre esistenze sulla base di ciò che i nostri territori sanno effettivamente esprimere. E questo non è solo travertino e termalismo. C’è anche tanta imprenditorialità che si esprime a caratteri artigiani anche se molto elevati per il livello di elaborazione e innovatività.
Ci abbiamo aree industriali-artigiane che non possono rimanere un’area confinata ai margini della città dove si esprime solo lavoro, ma anche altro: idee fattive per il territorio, cultura, momenti di socialità.
C’è un aeroporto militare ridotto a museo che nessuno visita, c’è il concentrato di Storia che finora si è difeso strenuamente dall’ingerenza del nuovo e vissuto come un limite per il territorio e non come grande occasione. E poi c’è il tema della formazione di una classe dirigente locale, ma anche quello di una borghesia locale. Di lavoro ce n’è tanto per Tiburno. Per domani! Oggi è già trapassato remoto.
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