Masotti chiude, un’altra storica insegna di Tivoli sta per abbassare, definitivamente, le serrande. Masotti, uno dei negozi più conosciuti, dopo tre lunghe generazioni ed una storia che nasce con la fine della Seconda Guerra Mondiale, sta per scrivere l’ultima pagina di un lungo ed avvincente libro. Il covid non c’entra con la decisione presa dai titolari, Augusto e Carmela figli del fondatore “il grande Giovanni”, ma sta comunque per finire in questi giorni difficili e tristi l’era dei Masotti, storicamente sinonimo di qualità e ricercatezza, dopo aver vestito chissà quante miglia di persone.
Augusto Masotti, come comincia la storia della vostra insegna?
Tutto comincia con nostro nonno, che si chiamava come me Augusto, che nel 1923 attraversò l’Irpinia con un carro trainato da buoi e carico di stracci. Ci vollero un paio di mesi ed arrivò a Nerola, dove si fermò inizialmente. Poi, nel ’49, aprì la prima bottega a Tivoli, un negozio di biancheria a metraggio da corredo, all’epoca non c’era nulla confezionato, su via Empolitana, al civico 1. Adesso lì c’è un compro oro. Poi nel ‘60 mio padre aprì il negozio a largo San Giovanni e, negli anni ‘80, io e mia sorella prendemmo in mano l’attività fino ad oggi trasferendoci prima in via Aldo Moro e poi dove ci troviamo ora in via del Trevio.
Come mai chiude una delle attività più note e storiche di Tivoli?
Tutto ha un inizio e una fine. Io e mia sorella Carmela, da sempre il mio 51%, abbiamo 4 figli che hanno fatto altre scelte professionali e siamo contenti di non aver mai forzato la mano nell’inserimento in azienda. Noi avevamo programmato da tempo la chiusura dell’attività per una scelta di vita, se Dio vorrà.
Il covid, in qualche modo, ha influito sulla vostra scelta?
Ovviamente anche ciò che stiamo attraversando influisce notevolmente, sia sull’andamento delle imprese e del commercio, tanto a livello locale che nazionale. C’è un notevole calo dei consumi, calo del turismo, difficoltà nel credito bancario, la cassa integrazione che in molti casi deve ancora da arrivare. Più in generale un grande senso di insicurezza e, soprattutto, confusione.
Che danni ha causato all’economia, soprattutto a quella tiburtina, l’emergenza sanitaria?
I danni sono sotto gli occhi di tutti. Anche a livello locale viviamo un periodo difficilissimo con tante attività che continuano a chiudere. La gente, giustamente, vista la crisi deve stare più attenta nelle spese ed esce poco. Inoltre si è fermato anche il turismo e, per una città come Tivoli, il danno è doppio. I cali di fatturato sono sostenuti e le attività commerciali ne subiscono le conseguenze. Ci dobbiamo augurare che la situazione non peggiori. Ora è il momento di essere tutti più prudenti, rispettare le tre regole, mascherina, sanificazione, distanziamento, auspicando che arrivi, almeno entro la prossima primavera, il vaccino.
Mi permetto in questa occasione di augurare alla nostra amministrazione comunale, o alle future che verranno, di avere la lungimiranza, la capacità, il coraggio e la determinazione, di affrontare il tema turismo. E’ un settore cruciale su cui intervenire quanto prima e definitivamente, con un piano strategico di sviluppo territoriale che ancora nel 2017 veniva indicato dal MiBACT quale strumento per porre il settore turistico al centro dello sviluppo del Paese. Serve, e serve urgentemente per non vedere Tivoli diventare la Civita di Bagnoreggio di quindici anni fa.
La vostra attività ha attraversato circa 50 anni. In questo lasso di tempo il mondo è cambiato tante volte, ma come si è modificato negli anni il commercio e la clientela?
E’ da oltre quindici anni che pian piano tutto è cambiato, privilegiando i centri commerciali e gli outlet rispetto ai negozi vicino casa. Ora è la volta siti e-commerce che, grazie alla comodità dei servizi offerti, stanno prendendo il sopravvento ma, a mio avviso, anche un po’ a scapito della qualità del prodotto.
L’insegna Masotti prima ancora di via del Trevio, dove recentemente ha chiuso anche il “secolare” Garberini, illuminava lo storico punto vendita di largo San Giovanni, davanti l’Ospedale, e poi di piazza Garibaldi. Di questa lunga vita dietro ad un bancone, quali sono i ricordi che più vi stanno a cuore?
Di ricordi ce ne sono davvero tanti, ma due sono quelli che particolarmente mi sono rimasti a cuore. Il primo è del 1980 quando io e mia sorella Carmela decidemmo di riaprire l’attività dopo una bruttissima vicenda di racket sul territorio che mio padre ed io avemmo il coraggio di denunciare. Il secondo ricordo che porto dentro di me furono i circa 2.500 sposi che abbiamo vestito in tutto il centro Italia quando coniammo lo slogan “per i più belli del mondo”. Nel negozio di tre piani in largo San Giovanni, erano circa 950 mq, offrivamo capi di aziende italiane di altissima qualità, di livello internazionale, e c’era sempre qualche sposo che girava tra le indossatrici e gli indossatori, era bellissimo!