Quando Vermicino sconvolse l’Italia

Con la tragedia Alfredino Rampi ci si è risvegliati meno ingenui sugli effetti della televisione per la società

Erano esattamente quaranta anni fa. Gli italiani si destarono come da un lungo sonno. Dalla speranza che a seguito di una vicenda che aveva coinvolto la passione di tutti potesse scaturire un finale felice, che Alfredino si sarebbe salvato e tutti ci saremmo sentiti sollevati.

E invece non fu così. La vicenda coinvolse tutti per la semplicità della vicenda da cui scaturì. Il piccolo scivolò in un pozzo artesiano e non valsero gli sforzi dei vigili del fuoco che assoldarono speleologi abituati a incunearsi in cavità nel profondo della terra per salvarlo. Giorni di autentica tregenda che terribilmente riuscirono solo a dare il corpo senza vita del piccino.

Ma la vicenda che coinvolse tutti per i chiari elementi passionali fu intrisa di elementi di riflessione che risvegliarono gli italiani sul rapporto non pacifico tra mass media e società. L’episodio divenne di grande presa perché fu lanciato nei telegiornali e per gli elementi in sé contenuti – la fragilità del piccolo, la disperazione contenuta della madre, la trascuratezza del pozzo lasciato senza sufficienti protezioni, l’impotenza delle grandi strutture all’opera per salvare il bimbo. La presa fu tale che rovesciò i palinsesti della televisione. Non c’era programma che teneva. Tutti i canali Rai dovevano dare notizie aggiornate sul piccolo Alfredino.

Ma il lato tragico di tanta rumore consiste nel fatto che troppa apprensione e presenza nel luogo non aiutò chi doveva operare a farlo nelle condizioni più agevoli. Nessuno ebbe il coraggio di scriverlo chiaramente, ma la presenza del presidente della repubblica, Sandro Pertini, con guardie del corpo e servizi di protezione di certo e la folla di curiosi che si apprestavano a presenziare non aiutarono.

Il condizionamento negativo dell’interesse pubblico su un determinato fatto che coinvolge l’emozione della società fu profetizzato in un film-capolavoro del 1951, L’Asso nella Manica con Kirck Douglas. Si racconta di un giornalista che per fare lo scoop di un evento in cui alcuni minatori sono rimasti intrappolati in miniera, fa modo di rallentare i primi soccorsi, tanto da giocare sul fatto tragico dei lavoratori imprigionati sotto terra. Il tutto però si conclude con la morte dei minatori.

Il parallelo, chiaramente, è pesante e provocatorio. Ma si capì come parte di tutta questa tragedia in cui fu un bambino di sei anni a perdere la vita, fu anche il sensazionalismo generale che di certo, quantomeno, non aiutò.

Quell’anno uno dei tempi della maturità liceale fu: mass media e società.

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